Nazione: Stati Uniti
Anno: 2018
Durata: 112 min
Genere: Animazione, commedia, fantastico, avventura
Regia: Phil Johnston, Rich Moore
Casa distribuzione: Walt Disney Pictures
Voto Filmantropo:
Sei anni dopo la sconfitta di Turbo, Ralph e Vanellope sono ancora grandi amici. Per rendere più divertente Sugar Rush, la cui routine comincia ad annoiare Vanellope, Ralph causa accidentalmente la rottura del volante del videogame. Nel frattempo, nella sala giochi dei due protagonisti, ha fatto il suo ingresso il Wi-Fi e, per evitare che Sugar Rush venga definitivamente scollegato, Ralph e Vanellope decidono di avventurarsi nello sconosciuto mondo di Internet, per cercare di trovare il pezzo di ricambio necessario, disponibile solo in un luogo misterioso chiamato eBay.
Lunga vita ai cartoon! Dopo aver visto scomparire dal grande schermo praticamente quasi tutti i generi che hanno reso Hollywood l’industria dei sogni per antonomasia (qualcuno è in grado di citare cinque film da ricordare del 2018, prodotti dai grandi studios americani, che non appartengano alle categorie cinecomic, fantasy-fantascienza e, appunto, animazione?), Ralph spacca Internet rappresenta una bella boccata d’ossigeno, per chi, come noi, si era ormai rassegnato all’idea che per trovare un minimo di creatività ci si dovesse avventurare nei sempre più vasti cataloghi delle piattaforme streaming. E invece, dopo lo splendido sequel degli Incredibili, della consociata Pixar, ecco che la Disney mette a segno un altro colpo con il seguito delle avventure di Ralph Spaccatutto e della sua amica Vanellope von Schweetz, il cui primo capitolo, uscito nel 2012, aveva inaspettatamente segnato l’inizio della riscossa della casa madre nei confronti della “figliastra” guidata da John Lasseter. Sia chiaro: non stiamo cercando di far credere che Ralph spacca Internet sia allo stesso livello della pellicola di Brad Bird, ma solo di sottolineare come all’interno dei grandi studios (e la Disney, dopo l’acquisizione della Fox, è di gran lunga il più potente di tutti) continuino a lavorare ancora tantissimi talenti in grado di realizzare film intelligenti, divertenti e stimolanti come questo. Il problema semmai, per tornare al nostro incipit, è che Hollywood sembra ormai garantire un minimo di qualità quasi esclusivamente ai film di animazione (il trend, infatti, sta coinvolgendo anche gli altri studios: di recente vi abbiamo parlato molto bene del cartoon che la Sony ha dedicato a Spiderman, e il trailer del nuovo capitolo di Dragon Trainer è la testimonianza di una Dreamworks Animation più agguerrita che mai), dando l’idea che le case di produzione si siano rassegnate alla sconfitta contro l’inesorabile avanzata di Netflix & C. e di aver deciso di investire solo sui quei generi che ancora invogliano alla visione su grande schermo. E che la Disney non abbia badato a spese per il suo 57° “classico” (ormai è tale il potere mediatico dello studio californiano, che ogni suo nuovo film viene considerato un classico ancor prima di uscire nelle sale) è evidente non appena i due protagonisti si ritrovano all’interno del web: la rappresentazione metaforica di Internet è così ricca di dettagli e l’animazione così fluida, da indurre spesso il pubblico a domandarsi di quanti operatori informatici abbia avuto bisogno la Disney per raggiungere un simile livello di perfezione. Naturalmente gli “effetti speciali” non sono sufficienti a fare in modo che una pellicola di questo tipo rimanga nel cuore degli spettatori (soprattutto dei più piccini), occorre anche lavorare parecchio sulla qualità della narrazione, ed è qui che i meriti dei due registi Rich Moore e Phil Johnston (anche autori del soggetto assieme a Jim Reardon, Pamela Ribon e Josie Trinidad) risultano più evidenti. Moore e Johnston avevano già collaborato in Ralph Spaccatutto, ma anche in quel piccolo gioiello che è Zootropolis, mostrando subito di essere perfettamente in grado di riuscire a infondere la filosofia Disney anche in film nati in piena era digitale. Bravissimi nel portare avanti una trama con due chiavi di lettura (che possa soddisfare, cioè, sia gli adulti che i bambini), si divertono a prendere bonariamente in giro tutto ciò che ognuno di noi ha avuto modo di affrontare nella rete. Tantissimi, come nel primo film, gli omaggi e le citazioni, e, tra queste, una, che vede protagoniste tutte le principesse Disney, era sembrata una potenziale sequenza cult fin dal trailer. Impressione confermata dalla visione della scena nella sua interezza, che, oltre a essere uno dei rarissimi casi in cui la casa del topo più famoso del mondo si prende gioco di sé stessa, regala anche diverse chicche memorabili (su tutte, il divertente commento che le altre principesse rivolgono a Merida, unica rappresentante della scuderia Pixar). Naturalmente la Disney non perde neppure l’occasione di autocelebrarsi e il momento in cui Ralph e Vanellope entrano nel sito dell’azienda di Burbank fa davvero impressione: vedere riuniti tutti assieme i classici di animazione più amati, i supereroi della Marvel, i personaggi di Star Wars e quelli del Muppet Show lascia quasi senza fiato. E poi, ecco anche una scena che ricorda l’inizio di La La Land e persino un frame velocissimo (anche se, francamente, inspiegabile) ripreso pari pari dalla mitica serie TV di Batman degli anni Sessanta (con il castello stilizzato della Disney a sostituire il simbolo dell’Uomo Pipistrello). Eppure, nonostante i parecchi pregi della pellicola, non nascondiamo che all’inizio dei titoli di coda, il risultato complessivo dell’opera ci abbia lasciati un po’ freddi. Johnston e Moore, infatti, pur molto abili nell’inserire al momento giusto numerose gag brillanti e ingegnose, non riescono a ricreare quell’amalgama magica di avventura e buoni sentimenti (ben presente nel capostipite del 2012) alla base di tutti i grandi successi della Disney. Si tratta, forse, dell’unico neo della pellicola, ma non possiamo negare che, così facendo, i due registi abbiano dato l’impressione di pensare un po’ troppo allo sfondo del film e molto meno ai suoi protagonisti.