Sono passati cinque anni dalla caduta dell’Impero, ma la Nuova Repubblica fa ancora fatica ad affermarsi nelle zone più remote della galassia. In questi luoghi, la legge esiste solo sulla carta e i criminali in fuga sono preda dei cacciatori di taglie. Tra questi, uno dei più risoluti è il mandaloriano Din Djarin (Pedro Pascal).
Nazione: Stati Uniti
Anno: 2019
Episodi: 8
Piattaforma: Disney+
Genere: Azione, avventura, fantascienza
Ideatore: Jon Favreau
Attori: Pedro Pascal
Il pubblico italiano ha dovuto attendere qualche mese prima di poter vedere The Mandalorian, prima serie televisiva live-action legata al mondo di Star Wars. Un tempo necessario all’arrivo nel nostro paese di Disney+, la neonata piattaforma streaming della casa di Topolino, creata con l’ambizione di ritagliarsi in poco tempo un’ampia fetta del mercato dell’entertainment casalingo, per ora in gran parte dominato da Amazon Prime e, soprattutto, Netflix. Durante questo periodo di attesa, i fan nostrani dell’universo creato da George Lucas hanno dovuto accontentarsi di vedere i pochi trailer messi in circolazione dal colosso californiano o di leggere le recensioni (perlopiù entusiastiche) che arrivavano dalla critica d’oltreoceano. Soprattutto in virtù di queste ultime, però, la serie si è portata dietro un carico di aspettative così alte, da rischiare seriamente di andare incontro a una cocente delusione da parte degli spettatori. Alla fine, non sembra che questo sia successo, almeno a leggere le critiche di casa nostra, ma è indubbio che i giudizi della stampa americana siano sembrati ai più (e noi tra questi) alquanto esagerati. Tanto per cominciare, la parte centrale della stagione ha una struttura un po’ troppo ripetitiva: dopo i primi tre capitoli, infatti, in cui il mandaloriano protagonista della vicenda riesce a recuperare il Bambino e decide di non lasciarlo nelle mani dei suoi committenti, abbiamo altri tre episodi che non aggiungono nulla alla trama, facendoci semplicemente vedere alcune tappe del viaggio dei due fuggitivi, nel tentativo di lasciare indietro i cacciatori di taglie sulle loro tracce. Sia chiaro, quasi tutto funziona come si deve e il divertimento non manca, ma gridare al capolavoro come hanno fatto incautamente molti recensori statunitensi ci è parso veramente eccessivo. Un giudizio che si fa fatica a prendere in considerazione anche per i capitoli iniziali e finali, sebbene questi siano sicuramente i più riusciti della serie. Tuttavia, il lavoro di Jon Favreau (principale autore dello show) e dei suoi collaboratori (tra i quali va almeno citato Dave Filoni, la mente dietro Star Wars: the Clone Wars, Star Wars Rebels e altre produzioni animate legate al franchise) non va per nulla sminuito. Il regista dei primi due Iron Man e, più di recente, della versione live (si fa per dire!) del Re Leone è riuscito a entrare nel mondo di Jedi e Sith con assoluta naturalezza, pur giocando con parecchi elementi della mitologia lucasiana (senza che questi risultassero forzati o utilizzati in maniera maldestra). In più, Favreau riesce anche a portare qualcosa di nuovo all’universo di Star Wars, rimanendo, nello stesso tempo, fedele alla tradizione. In altre parole, The Mandalorian fa intravedere (nonostante tutti i limiti di un prodotto per il piccolo schermo) quello che i fan si aspettavano dalla recente trilogia cinematografica, che, invece, a detta di molti, ha in gran parte tradito le attese. È indubbio che la Disney abbia usato la serie per promuovere la propria piattaforma, ma, rispetto a un kolossal cinematografico, il ritorno economico di un prodotto televisivo può permettersi di seguire percorsi diversi (soprattutto a livello temporale). Gli autori, pertanto, hanno potuto lavorare con tranquillità, senza l’assillo di dover cercare a tutti costi una “scena-madre” da tramandare ai posteri. A differenza degli ultimi tre capitoli per il grande schermo, inoltre, il desiderio di omaggiare scenari e personaggi che sono nel cuore degli stessi Favreau e Filoni è ampiamente percepibile, tanto è vero che gli autori hanno dato maggiore risalto alla componente western di Star Wars, ben presente nella trilogia originale, ma, poi, quasi del tutto ignorata nei film successivi. Anche gli effetti speciali usati con parsimonia (nonostante il budget di circa 12,5 milioni di dollari a episodio) testimoniano la volontà di non volere stupire a tutti i costi, oltre alla preoccupazione di riuscire a realizzare un prodotto che risultasse in armonia con un universo narrativo enorme, che in più di quarant’anni di storia ha avuto ramificazioni in ogni medium.
Continuando l’analisi dei vari tratti distintivi della serie, bisogna ammettere che se è facile commentarne gli aspetti produttivi, non si può dire lo stesso per quanto riguarda gli attori, dato che, tolto il protagonista Pedro Pascal (di cui, comunque, essendo il suo personaggio obbligato a tenere il volto sempre coperto con un elmo, non riusciamo a percepire la capacità espressiva mostrata in altri lavori), il resto del cast occupa uno spazio piuttosto limitato, per di più in posizioni decisamente subalterne. Possiamo solo affermare che più o meno tutti interpretano la loro parte in maniera professionale, con l’importante eccezione, però, di Gina Carano, poco efficace nelle vesti della mercenaria Cara Dune.
E veniamo ora al famigerato Bambino (ormai conosciuto da tutti come Baby Yoda), già entrato nell’iconografia pop mondiale, e pronto a far guadagnare un sacco di soldi alla Disney attraverso il merchandising. Alla fine, è diventato il personaggio più amato della serie e il modo in cui è stato furbescamente caratterizzato dagli autori non ha fatto altro che renderlo ancora più accattivante per il pubblico. D’altra parte, Favreau e soci hanno semplicemente ripreso un espediente utilizzato da George Lucas fin dalla prima trilogia: quale altra funzione avevano, infatti, i droidi R2-D2 e C-3PO, o gli Ewok (e, per certi versi, anche lo stesso Chewbecca), se non quella di allargare il più possibile l’audience dei film, cercando di ammaliare anche gli spettatori più giovani o chi ama i personaggi un po’ cartooneschi? Persino l’iconoclasta Rian Johnson non è riuscito a evitare di inserire i buffi Lanai ne Gli ultimi Jedi.
Infine, The Mandalorian ha fatto chiaramente capire tutto il potenziale che la Disney può mettere in campo, non solo in termini di budget, ma, soprattutto, dal punto di vista dei collaboratori. Basti citare che l’ultimo episodio è stato diretto dall’astro nascente Taika Waititi (che, recentemente, è stato ufficialmente designato per dirigere il primo film della nuova trilogia e che, nella versione originale, presta anche la sua voce al droide IG-11). Non ci resta, quindi, che aspettare fiduciosi il seguito della serie, con la speranza che il successo di questa prima stagione abbia indotto gli autori a scegliere per il futuro un indirizzo narrativo ben più complesso, e non una stanca ripetizione dei soliti cliché (per i nuovi episodi si vocifera di un consistente impiego di personaggi nati sulle serie animate e, probabilmente, di un ritorno di Boba Fett). Quando si maneggia un monumento come Star Wars, infatti, ci vuole poco per passare dalle stelle alle stalle (lo sa bene Ron Howard!).
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