Nazione: Stati Uniti
Anno: 2019
Durata: 123 min
Genere: Drammatico
Regia: Todd Phillips
Attori: Joaquin Phoenix, Robert De Niro, Zazie Beetz, Frances Conroy, Brett Cullen
Voto Filmantropo:
Nel 1981, Arthur Fleck (Joaquin Phoenix) è un aspirante cabarettista che vive in uno squallido appartamento assieme all’anziana madre Penny (Frances Conroy), in un quartiere periferico di Gotham City. Perennemente depresso e costantemente deriso dagli altri, anche a causa di un disturbo neurologico, che lo costringe a ridere in maniera incontrollabile, si guadagna da vivere come clown in piccoli spettacoli. Dopo essere stato aggredito da alcuni teppisti, riceve in regalo una pistola da un suo collega. Questo evento cambierà la sua vita per sempre.
Chissà quanti tra i frequentatori del nostro sito sono anche degli appassionati di fumetti americani. Queste persone sapranno sicuramente cos’è un Elseworld. Altri, invece, non così avvezzi ai termini in uso nell’editoria d’oltreoceano, troveranno la parola un po’ oscura. Ebbene, gli Elseworld sono storie dove i protagonisti di serie classiche del DC Universe (quello di Batman e Superman, per intenderci), vivono avventure alternative, scollegate dalla loro “storia” ufficiale. Ma perché, si chiederanno in molti, iniziare in questo modo la recensione di Joker, il bellissimo film di Todd Phillips, fresco vincitore del Leone d’oro al Festival di Venezia? Senza stare troppo a girarci intorno, abbiamo solo sentito il bisogno di dire la nostra a proposito di un argomento su cui si è discusso molto nelle ultime settimane, che, sostanzialmente, può essere riassunto con una semplice domanda: Joker deve essere considerato un cinecomic? La risposta è, ovviamente, sì, ma, come sempre, quando un genere popolare, la cui unica ambizione è intrattenere il pubblico, varca il confine del cinema d’autore, ecco arrivare i soliti critici spocchiosi ad alzare barriere per difendere quello che considerano il loro territorio esclusivo. Dispiace che a questo club della superbia si sia recentemente unito anche Martin Scorsese, che ha dichiarato di non riuscire a considerare vero cinema i film con i supereroi (un’affermazione alquanto curiosa, visto che l’autore dell’imminente The Irishman doveva essere uno dei produttori della pellicola di Phillips). Possiamo concedere al regista italo-americano, probabilmente frustrato dalla crescente attenzione verso questo genere cinematografico, da parte dei membri dell’Academy (che raramente hanno manifestato lo stesso entusiasmo per i suoi film, mentre già si parla di parecchie candidature agli Oscar per Avengers: Endgame), di essersi lasciato andare a commenti impropri, e che, quasi sicuramente, riguardano un po’ tutto il cinema contemporaneo, ormai lontano dai classici dell’età d’oro di Hollywood, a cui lui è ancora affezionato, ma che i blockbuster tratti dai fumetti non siano degni di essere presi in considerazione, è un’idea piuttosto radicata tra gli addetti ai lavori.
Tornando, quindi alla nostra introduzione, adesso dovrebbe essere più chiaro quello che volevamo dire: Joker è un cinecomic perché è, anche, una sorta di “Elseworld” del DC Extended Universe, il (per ora) vano tentativo della Warner di inseguire il successo planetario dei film dei Marvel Studios. Esattamente come per il suo corrispettivo su carta, il film è stato concepito per essere fruito sia da chi non ha nessun interesse per gli eroi in calzamaglia, sia da chi, invece, sa di essere di fronte a una reinterpretazione della nemesi numero uno di Batman. Phillips non rinnega assolutamente l’origine popolare del personaggio (anche se, bisogna ammetterlo, la scena che richiama la genesi del Cavaliere Oscuro è uno dei passaggi meno riusciti della pellicola), ma decide semplicemente di dimostrare come, anche rimanendo all’interno del genere supereroistico, sia possibile realizzare opere più mature e complesse, che vadano aldilà del semplice sfoggio di effetti speciali. E scegliere un personaggio come Joker per arrivare a questo, è sembrata una scelta alquanto inevitabile. Il pagliaccio del crimine, infatti, non ha mai avuto particolari abilità, o addirittura super-poteri che potessero aiutarlo nelle sue attività malavitose. E’ sempre stata la follia a spingerlo a commettere ogni sorta di azione meschina. Perché non mostrare, allora, cosa possa aver portato la persona dietro il clown a diventare un feroce criminale? Già Christopher Nolan era riuscito a realizzare qualcosa di simile (aiutato dall’indimenticabile interpretazione di Heath Ledger) e, prima di lui, anche numerosi sceneggiatori di fumetti avevano offerto al pubblico una rilettura delle origini del personaggio da una prospettiva completamente diversa (basti citare il fondamentale The Killing Joke di Alan Moore). Phillips (che facciamo ancora fatica ad associare a “Road Trip” o a “Una notte da leoni”) ha solo raccolto il meglio di ognuno dei suoi predecessori e lo ha inserito all’interno di un ragionamento più ampio, dove il fallito Arthur Fleck, ultimo tra gli ultimi, diventa una metafora di tutti gli umili e gli sconfitti della società contemporanea. Anche se il film è ambientato agli inizi degli anni Ottanta, il suo discorso è più attuale che mai. Se già allora l’alienazione di tanti cittadini comuni aveva trasformato il cinema hollywoodiano, pronto a intercettare il desiderio di rinnovamento dei registi emergenti dell’epoca che, stufi di western e musical, erano più interessati a raccontare il malessere delle metropoli americane (non è un caso che la pellicola citi apertamente “Taxi Driver”, uno dei film simbolo del periodo e, guarda caso, uno dei primi successi di Scorsese), questo sentimento non è cambiato nel tempo, e la Gotham City offerta da Phillips è solo lo specchio di quello che le grandi città moderne riservano a chi non ha i mezzi umani o materiali per emergere dalla massa. Il regista newyorkese non cerca una giustificazione al comportamento di Arthur (tanto che la sua progressiva trasformazione in Joker avviene attraverso azioni sempre più efferate), mostra solo come egli sia il risultato della totale insensibilità della comunità e della superficialità dell’élite al potere. Phillips rincara la dose citando un altro film di Scorsese (Re per una notte), ma in una versione più drammatica e disperante, dove la rivalsa di chi è sempre costretto a rimanere in fondo alla fila, non può che passare attraverso la violenza.
Abbiamo volutamente lasciato per ultimo il nostro commento su Joaquin Phoenix, senza la cui magnifica interpretazione (capace di mettere in ombra persino un peso massimo come Robert De Niro), forse non saremmo qui a parlare così bene di questo film. Per sottolineare ancora di più come l’attore statunitense sia la vera forza motrice della pellicola, non è necessario menzionare i chili persi per interpretare il suo personaggio, ma ricordare, piuttosto, la sua stupefacente metamorfosi, da persona dimessa per le continue umiliazioni subite, a brutale assassino. E per quanto il disturbo neurologico di cui soffre Arthur, che lo costringe a ridere anche nei momenti meno opportuni, risulti sempre inquietante, grazie all’incredibile talento di Phoenix, all’inizio del film provoca nello spettatore più compassione che paura. Esattamente l’opposto di quello che succede nel finale. Inutile dire che con una simile performance, che da sola vale i soldi del biglietto, l’attore americano avrà ben pochi rivali alla prossima corsa per gli Oscar.