Nazione: Stati Uniti
Anno: 2019
Durata: 124 min
Genere: Avventura, fantascienza, supereroi
Regia: Anna Boden, Ryan Fleck
Attori: Brie Larson,Samuel L. Jackson, Ben Mendelsohn, Djimon Hounsou, Jude Law
Voto Filmantropo:
Vers (Brie Larson) è un membro della Starforce, il corpo d’élite dell’esercito Kree, istituito per porre fine alla minaccia degli Skrull, una razza aliena di rettili mutaforma, da anni in guerra con l’impero di Hala. Ma a turbare Vers non sono i suoi nemici, bensì i sogni ricorrenti che la vedono in compagnia di una donna misteriosa (Annette Bening), di cui non ricorda neppure il nome.
Onde evitare che il nostro giudizio possa sembrare un po’ troppo entusiastico, è meglio chiarire subito che Captain Marvel, penultimo capitolo della cosiddetta Fase Tre del Marvel Cinematic Universe (che si concluderà a fine aprile con l’uscita nelle sale di Avengers: Endgame) non è un film privo di difetti. Si pensi, per esempio, ai limiti mostrati dalla regia in alcune scene d’azione, particolarmente evidenti nello scontro finale contro Ronan e il resto degli accusatori Kree, un passaggio risolto troppo frettolosamente e piuttosto povero di pathos. Oppure agli omaggi eccessivi agli anni Novanta (epoca in cui è ambientato il film), alla lunga un po’ stucchevoli, soprattutto quando vengono rispolverate alcune hit del periodo, in momenti del film dove ci si aspetterebbe ben altra colonna sonora. Anche l’ovvia metafora dell’imperialismo Kree, scoperta denuncia dell’interventismo militare americano, registra diversi passaggi a vuoto. Ma dopo esserci sorbiti l’insipido Venom e l’incommentabile Aquaman, queste piccole mancanze ci appaiono ben poca cosa, rispetto ai tanti pregi del film. Certo, Captain Marvel non aggiunge nulla di nuovo rispetto all’enorme affresco dipinto finora dai Marvel Studios, ma il merito dei registi Anna Boden e Ryan Fleck (anche co-autori della sceneggiatura) è proprio quello di essere entrati subito in sintonia con il Marvel style: la profondità dei personaggi è lontana anni luce dalla superficialità esibita dalle anonime figurine in spandex del DC Extended Universe; i passaggi umoristici sono quasi sempre ben calibrati (e, curiosamente, vedono spesso Nick Fury come protagonista. Un personaggio ben diverso dal comandante dello S.H.I.E.L.D. cinico e tutto d’un pezzo, che abbiamo conosciuto negli altri film); anche il tanto strombazzato “femminismo”, che avrebbe dovuto essere il cuore della pellicola, è in realtà (e per fortuna) solo appena accennato, tanto da interferire molto poco sullo sviluppo della narrazione; la trama, inoltre, è solida e avvincente, oltre che un’eccellente rilettura della mitologia Marvel: i fan più sfegatati faranno, probabilmente, fatica a digerire il modo in cui sono stati ritratti gli Skrull, ma non potranno non approvare, invece, il modo rispettoso con cui gli autori hanno reinterpretato tutto il resto, riuscendo persino a sorprenderci con la reale identità di Mar-Vell (un capolavoro di marketing della Disney: sull’identità del personaggio si è speculato fino all’uscita del film, traendo in inganno persino affermate riviste e blog del settore).
Sul fronte degli attori, la protagonista Brie Larson ci mette un po’ a tirare fuori il talento che qualche anno fa le ha permesso di vincere un Oscar. Fino all’arrivo sulla Terra, la sua Vers è un soldato un po’ troppo stereotipato e monocorde, soprattutto se confrontato con l’interpretazione di Jude Law (bravissimo per tutta la durata del film). Molto meglio quando comincia a duettare con Samuel L. Jackson (ringiovanito alla perfezione da un grande lavoro di CGI), o quando, recuperati i suoi ricordi, riesce a imprimere un’identità ben definita al personaggio. Proprio Samuel L. Jackson si rivela la spalla perfetta per l’attrice californiana. La sua versione un po’ scanzonata di Nick Fury è la sorpresa più gradita della pellicola. Annette Bening, invece, avrebbe sicuramente meritato più spazio, anche in considerazione del personaggio che rappresenta. Ma persino le poche scene a sua disposizione sono sufficienti a farci rimpiangere i tempi in cui era solita interpretare ruoli di tutt’altro spessore (negli ultimi anni, forse perché più interessata a fare la madre e la moglie, la si è vista solo in film di poco conto). Difficile dare un giudizio, infine, sulla performance di Ben Mendelsohn. Sepolto sotto il pesante make-up dello skrull Talos, fa fatica a far emergere l’espressività ammirata in altre pellicole. Ci piacerebbe, poi, dissertare sulle citazioni presenti nel film e le curiosità legate al personaggio di Captain Marvel, ma queste sono così tante che, per poter essere esaurienti, dovremmo dedicare loro un articolo a parte. Ci limiteremo a quelle più originali: il primo nome da battaglia di Carol Danvers, quando le venne dedicata una serie personale nel 1977, era Ms. Marvel. Infatti, all’epoca, era Mar-Vell a fregiarsi del titolo di “capitano”. Monica, la figlia di Maria Rambeau, l’amica afroamericana di Carol, nei fumetti è una super-eroina chiamata Spectrum, ma all’inizio della sua carriera aveva scelto come nome – indovinate un po’ – proprio Captain Marvel (in quegli anni Carol si faceva chiamare Warbird). Infine, il flerken Goose è ispirato a Chewie (diminutivo di Chewbecca), l’essere in tutto e per tutto simile a un gatto, che, nei fumetti, per diverso tempo è stato l’animale domestico di Carol.
Prima di chiudere, concedeteci alcune righe per tessere le lodi di Kevin Feige, mai come adesso così meritate: quando uscì il primo film dedicato a Iron Man, nessuno si sarebbe aspettato, appena undici anni dopo, che tante persone (la stragrande maggioranza delle quali non ha mai neanche sfogliato un fumetto della Casa delle Idee) sarebbero state capaci di districarsi nella sempre più complessa continuity del Marvel Cinematic Universe. Forse è l’abitudine alla serialità imposta da Netflix a spingere gli spettatori a cercare qualcosa di simile anche al cinema. Ma vedere quasi tutto il pubblico in sala, rimanere incollato alla propria sedia fino alla fine dei titoli di coda, in trepidante attesa delle due scene extra, arrivando, addirittura, ad applaudire la prima di queste (che fa da collante tra Captain Marvel e Avengers: Infinity War), è una prova evidente dell’incredibile lavoro fatto da Feige e soci, qualcosa che, forse, avrebbe sorpreso persino Stan Lee. Ed è proprio ricordando colui senza il quale tutto questo non esisterebbe, che vogliamo terminare, facendo nostra la breve frase che compare alla fine del bellissimo e commuovente tributo che i Marvel Studios gli hanno dedicato nei titoli di testa: “grazie Stan”.