Nazione: Stati Uniti
Anno: 2019
Episodi: 8
Piattaforma: Amazon Prime Video
Genere: Drammatico, commedia, supereroi
Creata da: Eric Kripke
Attori: Karl Urban, Jack Quaid, Antony Starr, Erin Moriarty, Elisabeth Shue
Voto Filmantropo:
I supereroi non sono dei giustizieri indipendenti, interessati solo a difendere i deboli da ogni sorta di sopraffazione, ma, piuttosto, delle superstar che affidano la cura della propria immagine alla Vought-American, una multinazionale arricchitasi proprio grazie alla pubblicità seguita alle imprese dei suoi assistiti. Patriota (Antony Starr) e gli altri membri dei Sette (il supergruppo più famoso), però, sono tutt’altro che immuni ai vizi e alle debolezze delle persone normali, le quali, grazie ai maneggi della Vought-American, sono inconsapevoli dei difetti dei loro presunti paladini. Chi conosce la verità è Billy Butcher (Karl Urban), intenzionato a rimettere in piedi la sua squadra, i Boys, per punire i Super una volta per tutte.
Ebbene sì, ci siamo cascati di nuovo! Ogni volta che dubitiamo della riuscita di una nuova serie, ecco che veniamo puntualmente smentiti. E’ successo qualche mese fa con The Umbrella Academy (rivelatasi, poi, una delle novità più interessanti del catalogo Netflix), e ancora prima con Preacher (show AMC proposto in Italia sulla piattaforma Amazon Video), ed è capitato di nuovo alla fine di luglio, quando l’azienda di Jeff Bezos ha reso disponibile in streaming la sua nuova produzione, The Boys. Tuttavia, se qualcuno ha letto il fumetto da cui Eric Kripke (Supernatural, Revolution) ha ricavato la trama per il suo adattamento televisivo, non troverà difficile intuire il perché del nostro scetticismo: The Boys, infatti, è una delle creazioni più irriverenti, scorrette e dissacranti di Garth Ennis (che, guarda caso, è anche la mente dietro Preacher), un autore che ha fatto dell’impudenza e della mancanza di ritegno le sue parole d’ordine. Francamente, dopo aver visto il primo episodio, le nostre perplessità sembravano aver trovato un effettivo riscontro: la riproposizione di scene prese pari pari dalle pagine dell’opera originale (ma senza riuscire a mantenerne neanche lontanamente l’effetto dirompente visto su carta), è apparso da subito come un maldestro tentativo di mostrare una sorta di rispetto verso gli autori del fumetto o di provare ad accontentare gli appassionati più intransigenti, già pronti a scatenare la propria furia, al primo accenno di scostamento dello script dal soggetto di Ennis.
Billy Butcher, inoltre, uno dei protagonisti, ricorda solo a tratti il carismatico leader del gruppo che appare nel fumetto. Non ce ne voglia il povero Karl Urban (che fa di tutto per risultare credibile), ma per quella parte avremmo preferito un attore decisamente più istrionico, come, ad esempio, il bravissimo Jeffrey Dean Morgan, che, da qualche anno, interpreta Negan in The Walking Dead (e in effetti, nei fumetti, Negan e Billy Butcher mostrano diversi punti in comune). Ma la recitazione di Urban, in realtà, alla fine si rivela l’unico vero punto debole dello show, perché, già dal secondo episodio, The Boys ingrana la marcia e finisce per diventare l’ennesima scommessa vinta dal ramo cine-televisivo di Amazon.
E’ bene sottolineare, però, che, aldilà dei nostri più che giustificati timori, questa nuova serie sembra, ormai, confermare il modus operandi di quasi tutti gli autori chiamati ad adattare il linguaggio delle nuvole parlanti per il grande e per il piccolo schermo. Kripke, che veniva dal modesto risultato di Timeless, non ha fatto altro che seguire diligentemente le orme dei suoi predecessori (alcuni dei quali, non a caso, sono tra i produttori esecutivi dello show), che hanno capito da tempo quanto sia inutile cercare di trasporre in live-action le suggestioni di un’opera a fumetti, se questa non appartiene al filone supereroistico. Essa deve essere presa come riferimento solo per tratteggiare i personaggi principali o per riprenderne lo spirito di fondo. Nient’altro. E The Boys, in effetti, non sfugge a questa semplice regola, ma è anche vero che se lo show non avesse, Urban a parte, dei bravissimi interpreti (su tutti la ritrovata Elisabeth Shue e il sorprendente Antony Starr, perfetto a tratteggiare un personaggio complesso come Patriota), una sceneggiatura di ferro (questa sì merito di Kripke, che, oltre ad aver smussato gli eccessi di Ennis, raccontando, attraverso l’uso metaforico dei super-eroi, il malcostume e le perversioni tipiche del divismo, si prende anche il rischio di sorprendere tutti nel finale, con un colpo di scena che allontana ancora di più la serie dalla trama del fumetto) e un comparto tecnico d’eccezione (effetti speciali, costumi…tutto funziona a meraviglia), non saremmo qui a lodare l’operato dei boss della Sony Pictures Television e degli Amazon Studios (che hanno co-prodotto lo show). L’unico aspetto della serie difficile da giudicare è la regia: ogni episodio, infatti, è stato diretto da una persona differente (tra cui lo stesso Kripke), ognuna delle quali è sembrata volersi limitare a rimanere nel solco di chi l’aveva preceduta, senza cercare di far emergere il proprio stile.
Si è parlato molto, infine, del messaggio che gli autori avrebbero cercato di comunicare allo spettatore: a differenza di tanti, noi non crediamo che si tratti di una critica al sempre più diffuso interesse monotematico del pubblico verso i cinefumetti, ma piuttosto di una presa di coscienza che i super-eroi possono essere utilizzati, anche su schermo, in maniera trasversale ai generi, tentando, in questo modo, di cominciare quel revisionismo della figura del superuomo, iniziato nel fumetto anglosassone nella prima metà degli anni Ottanta, di cui l’adattamento di Watchmen (opera simbolo di quel periodo), in arrivo tra poche settimane per HBO, sembrerebbe esserne un’ulteriore conferma.